Anche stamattina abbiamo deciso di uscire presto, alle 6, ci aspettava la tratta più lunga, 40 km fino a Melide. Ci abbiamo messo un bel po’ per riuscire a uscire da Portomarín, siamo passate sul bel ponte romano e poi ci siamo inoltrate in un bosco fitto e pure in salita… Ma chi mi aveva detto che da Sarrìa in poi era tutto piatto? Bugia! Salite discese anche oggi e in abbondanza. Uscire la mattina presto vuol dire munirsi di frontalino, essendo però consapevoli che nel giro di mezz’ora comincia a schiarire. Qui in Galizia ho imparato che bisogna camminare almeno 90 minuti nel buio più totale perché il cielo è apparentemente sempre coperto e perché come prima cosa si cammina in fitti boschi. A me uscire presto aiuta per diversi motivi: innanzitutto mi sveglia, l’aria fresca mi rinfresca il cervello, mi si alza la pressione, il mio livello di attenzione è altissimo, cammino molto più veloce, e le prime due ore mi volano letteralmente. Poi evito il sole del pomeriggio che mi devasterebbe. Alle otto sono in genere prontissima per una buona colazione fatta di pane tostato e pomodoro. Mi raccomando non prendete pane tostato e marmellata, perché quello lo danno i turisti. Dunque io e la mia amica francese Stefanie camminiamo a lungo e in silenzio in questo fitto bosco, sembra non finire più. Ci sorpassa un veloce spagnolo, e poi il paesaggio si fa più aperto. La luce però non arriva, esattamente come ieri. Quando abbondantemente dopo le sette possiamo spegnere i frontalini ci rendiamo conto di trovarci in una nebbia fittissima praticamente siamo all’interno di una nuvola. Sentiamo freddo, è molto umido, io poi sono super freddolosa, e quando in lontananza vediamo un ostello con delle luci al neon lampeggianti ci sembra un miraggio. A me viene addirittura voglia di prendermi un tè caldo o una cioccolata calda, mi sento come se fossi sul cammino di inverno. Complice il fatto che ci siano pochissimi Pellegrini in giro, la sensazione è proprio quella, di stare in autunno o in inverno facendo il cammino di Santiago. Io e Stefanie siamo sempre più consapevoli di star vivendo una cosa straordinaria. Anche i villaggi che attraversiamo sono popolati da pochissimi autoctoni con le loro galline e loro cani. Ad un certo punto attraversiamo una zona dove la nostra destra ci sta un grande allevamento di mucche, che per fortuna non vedo. Purtroppo però, sento… Sento le mucche urlare, so esattamente cosa sta succedendo. È l’urlo che le mucche fanno quando una volta che hanno partorito, gli vengono tolti i loro piccoli e loro piangono per settimane e settimane. Di scene così ne ho viste in abbondanza e questo è uno dei motivi, uno dei tanti, che mi ha spinto a diventare vegana. Cerco di far finta di nulla, cerco di non sentire quelle urla strazianti, ma si insinuano dentro di me e mi cominciano a lacerare. La mia amica che non è vegana sa della mia empatia nei confronti degli animali e silenziosamente rispetta il mio dolore. Purtroppo non è finita qua, passiamo davanti a una stalla e io butto dentro l’occhio e ci sono alcune mucche sedute, purtroppo sono legate ad una catena al collo, stanno veramente scomode. Una si gira e mi guarda con occhi dolci, a me si lacera il cuore in 1000 pezzi. Le parlo e poi me ne vado. Comincio purtroppo a piangere perché il dolore di queste scene è per me insopportabile. Ci metto un bel po’ prima di riprendermi e ricominciare a camminare. Si affollano i pensieri, come al solito. Mi chiedo come sia possibile che la maggior parte delle persone sia indifferente alla sofferenza disumana che viene inflitta agli animali nella produzione del latte e della carne, soprattutto negli allevamenti intensivi. Continuo a farmi domande, e non capisco… Cerco di rientrare nello spirito del cammino, e con molta difficoltà, ci riesco. Il cammino sembra venire il mio soccorso, perché mi fa fare un altro incontro. Entriamo in un paesino pieno di galline pastori e cani. Uno in particolare mi colpisce. È una stalla molto bella, con tanto fieno, della verdura, e molte belle mucche libere di muoversi. Il pastore è li che parla con loro. Io non riesco a resistere, e gli chiedo se posso entrare… Lui dice di sì, e allora, in un italiano abbastanza buono, mi comincia dire il nome delle sue mucche, che io accarezzo. Di ognuna di loro mi dice il carattere, Quella è la capa, quella timida, quella è una mangiona. Mi dà la possibilità di offrire alle mucche dei pezzi di insalata che loro golosamente mangiano, ma non devo esagerare perché il resto della verdura è per i maiali. Gli chiedo come funziona da lui, e mi spiega che le sue mucche vengono ingravidate una volta all’anno, i vitelli stanno con le mamme fino all’ottavo mese, e poi vengono mandati al macello. Questo ogni anno. Le mucche rimangono con lui fino all’età di vent’anni circa, dopo vengono mandati al macello anche loro. Vivono però una vita molto più dignitosa di tutte le povere creature negli allevamenti intensivi, che anche lui trova terribili e disgustosi. Anche se nella sua piccola fattoria i vitelli vengono purtroppo nati per essere poi macellati e anche le mucche non hanno il diritto di morire di vecchiaia, questa è l’unica produzione di carne che io posso in qualche modo tollerare e dove secondo me l’umanità dovrebbe tornare. Si risparmierebbero tante malattie, tante resistenza agli antibiotici, ma soprattutto tantissimo dolore. Da non dimenticare una fattore importantissimo: il ruolo devastante che gli allevamenti intensivi hanno sul nostro pianeta, tra deforestazione, emissione di gas, inquinamento di falde acquifere e via dicendo.Rimango in quella stalla per un bel po’, lui è una bella persona, in qualche modo ama le sue mucche, vorrei che tutti i contadini fossero come lui. In qualche modo questa esperienza mi riconcilia con il cammino, e quindi proseguiamo un po’ più alleggerite. Ovviamente il mio dolore non lascia indifferente la mia compagna di viaggio. La foschia sparisce e lascia il posto ad un cielo blu intenso, la temperatura ideale, non si suda troppo. Dopo succede un’altra cosa. Troviamo un bar con un bellissimo giardino dove ci fermiamo per fare una pausa. Ci sono due gatti bellissimi, molto più grassi dei soliti gatti magri ed esili che ho visto fino ad ora sul cammino. Sembrano interessati a qualcosa per terra. Vado a curiosare e vedo che stanno giocando e probabilmente uccideranno a breve, un piccolo di talpa. I gatti intuiscono che gli voglio rubare la preda, uno lo prende e cerca di portarsela via. Io non mi faccio impietosire dal gatto che ha sicuramente ben nutrito, gli metto un po’ di paura e lui lascia la presa. Prendo la baby talpa che non appena tocca terra cerca di scavarsi una buca, ma la il terreno è troppo duro. La tengo stretta nelle mani, è morbidissima e molto indifesa oltre che cieca. La porto sotto un albero dove il terreno è più morbido in tempo zero, appena lo lascio per terra è già sparita. I gatti sono abbastanza basiti, sentono l’odore e di dove stava prima e la cercano. Mi dispiace per oggi niente talpa come menu (I gatti erano sazi e vengono nutriti dalla proprietaria del bar, sono suoi). Arriviamo a Palais del Reis, dove la maggior parte dei pellegrini si fermerà. Noi sappiamo che abbiamo ancora 17 km da macinare.In un piccolo negozietto riesco a comprarmi una minuscola crema per il corpo, una forbicina e un moschettone per il mio zaino che ormai è diventato un attaccapanni. Dopo aver consumato un pranzo abbastanza abbondante, ci rimettiamo in marcia. Mi sono messa i sandali, questa volta con le calze, ma continua esserci qualcosa che mi punge. Mii tolgo le calze 1000 volte ma non riesco a trovare niente… Alla fine scopro che è un pezzo di legno appuntito come uno spillo che si era in fissato dentro il sandalo e mi stava facendo vedere le stelle. Io e Stefanie capiamo che dobbiamo allungare il passo, rischiamo sennò di essere ancora in giro per le 18. Usiamo la tecnica della musica, che ha funzionato bene negli ultimi giorni. Mi metto la mia bella playlist e comincio a camminare a ritmo delle canzoni, molte le canto a squarciagola, tanto siamo sole. Lei canta in francese la sua musica io canto in italiano la mia, potrei dire che siamo felici. A pochi chilometri da Melide siamo comunque sfinite. Lei ha dolori ovunque, io devo di nuovo cambiarmi le scarpe perché sento che mi stanno arrivando le vesciche. Opto per sandali senza calze e penso che rimarrò così fino ai prossimi giorni. Il paesino prima di Melide é tanto carino, quanto è anonima è brutta la città di Melide stessa, anche se c’è da dire che ne abbiamo vista solo un pezzo fino ad ora… In compenso facciamo una cena da Dio. Ci avevano consegnato di andare da Ezequiel , ma quando saputo che si mangiava dentro ho deciso che non volevo farlo, per via del Covid. O mangio fuori o non mangio. E così il nostro hospitalero ci consiglia un posto meraviglioso, si chiama casa Alongos e ha uno svariato menù vegetariano, vegano, di pesce o carne e tutto in un bellissimo giardino. La cuoca è una persona fantastica sorridente, peccato che durante la cena incominci furiosamente litigare con il credo marito e poi si viene a sfogare un po’ con noi, e dice che lei no, non è super Woman come noi avevamo detto, perché lei sbaglia tutto. Abbiamo cercato di farle un po’ di coraggio, pochi minuti prima era un raggio di sole felicissimo e ora era distrutta. Prima di andare via devo fare per forza le coccole al cane del ristorante che sta dietro un recinto, e dopo ho un altro incontro con un Alano cucciolo con due occhi di colore diverso. Anche oggi ho avuto la mia dose di natura e gli animali e posso andare a letto serena… Domani sono solo 30 km